Educazione bambini: come impostarla

“Educazione bambini” è un binomio su cui sono tanti a riflettere. Marco e Alessandra si interrogano continuamente sull’educazione dei bambini, ci tengono molto al loro figlio e vorrebbero sentirsi più efficaci nel ruolo di genitore.
Hanno letto diversi libri e seguono vari blog, ma le informazioni che ottengono sull’educazione sono sempre generiche: ne parlano professionisti diversi; approfondiscono concetti molto vaghi; si limitano quasi sempre a stendere dei decaloghi di cose da far/non fare; hanno un’idea parziale dell’educazione (dare le regole, insegnare l’autonomia…).
Loro, invece, avrebbero tanto bisogno di avvalersi di strumenti con i quali arricchire la relazione educativa con il loro bambino fin da subito.
Perciò continuano ad essere confusi sul senso dell’educazione e non sanno come orientarsi di fronte ai capricci del loro bambino, ai suoi apprendimenti, alla gestione del rapporto che avranno in adolescenza e ad altri temi educativi.
Pare che tutti ne sappiano di educazione, infatti ognuno dice cosa bisogna fare; pochi però giustificano le loro riflessioni indicandone i motivi. Inoltre, sono ancor meno coloro che spiegano cosa sia l’educazione e da quale approccio educativo nascano i loro suggerimenti.
Io invece, prima di orientare il tuo ruolo educativo verso un approccio che permetta a tuo figlio di esprimere al meglio le proprie potenzialità e realizzarsi nella vita, intendo spiegarti cos’è l’educazione.
Se questi sono i tuoi dubbi, allora non devi fare altro che proseguire la lettura, così da poter attribuire un senso più profondo ai piccoli gesti quotidiani con i quali ti prefiggi di favorire la crescita di tuo figlio.

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1. "Educazione bambini": gli errori di chi non sa cosa sia l’educazione

L’educazione dei figli non è certo un tema semplice; molti in passato, e anche oggi, hanno cercato o cercano di dare una risposta alla domanda, scadendo continuamente nella superficialità. Non si tratta però di un terreno in cui sia possibile dare una risposta univoca, perché l’educazione è un tema ad altissima complessità.
Alcune soluzioni potrebbero andare bene in certi contesti ma non in altri, o possono essere utili per una persona ma non per altre; pertanto, serve usare estrema delicatezza nell’accingersi a spiegare agli altri come educare i propri figli.

Tuttavia, qualche valida linea generale di orientamento la si può certamente dare. Quella che posso offrirti io parte da una prospettiva completamente diversa da quella assunta da molti commentatori, scrittori o sedicenti esperti di educazione, che troppe volte confondono l’educazione con altri aspetti. Ad esempio con la morale.
Non che lo facciano per malizia; se accade è perché molti di loro sono preda di una visione dell’educazione superata, che stenta a morire. Pensa semplicemente al binomio educato/maleducato; a cosa ti fa pensare? Tu sai bene che è consuetudine diffusa associare queste due parole a un modo di comportarsi che è coerente/contrario rispetto a certe regole di bon ton.

Infatti, secondo questa visione dell’educazione, un ragazzo “educato” è un “bravo” ragazzo, cioè colui che si comporta bene. Quando invece un ragazzo si comporta male, usa un linguaggio volgare o è un piuttosto scorbutico, viene considerato “mal-educato”.
Non è il solo caso in cui l’educazione viene travisata e confusa; ce n’è uno ben più pericoloso ed è quello che ruota attorno al concetto del “bene dei figli”. È molto difficile stabilire cosa sia il bene per i figli; dietro a questo concetto si sono giustificati troppo spesso dei precetti morali o dei preconcetti, privi di alcun fondamento. Per non parlare poi del concetto di modello educativo, che in passato è stato piegato a nefandezze di ogni sorta per costringere lo sviluppo del bambino ad una direzione precisa, completamente slegata dalle sue prerogative personali.

È molto pericoloso parlare di modelli in educazione, è un concetto da maneggiare con cura da parte di pedagogisti esperti, che conoscono la materia.
Questi concetti, e il relativo background culturale che li accompagna, possono forse andare bene nelle chiacchiere da bar; ma in bocca a qualche improvvisato esperto di educazione, questa visione diviene fuorviante e pericolosa.
Tu invece hai bisogno di appoggiarti ad un concetto di educazione adeguato ad agire efficacemente nei confronti di tuo figlio.

2. Documentarsi, ma con cautela

Cominciamo col dire che su questo tema troverai certamente montagne di libri, di ogni sorta: manualetti, libri universitari, testi di luminari in qualche disciplina attigua all’educazione.
Essendo un pedagogista, per me è deontologico dirti di leggere di tutto e di più su una materia che ti interessa; lo stesso ti suggerisco di fare anche per l’educazione, visto che se sei qui è perché ne vuoi sapere di più. Voglio però allertarti. L’educazione riguarda tutti gli esseri umani, siamo tutti oggetto e soggetti di educazione, come tra poco ti spiegherò; questo aspetto però, da solo, non è sufficiente a fare di una persona un esperto di educazione.

Tutti noi pensiamo, proviamo delle emozioni, siamo capaci di empatizzare con gli altri, percepirne gli stati d’animo e agire di conseguenza anche per aiutare gli altri a stare meglio, a tirarsi su se sono un po’ depressi. Questo non fa di noi degli psicanalisti. Se stiamo male e abbiamo certi sintomi, sappiamo che con un certo farmaco potremmo riuscire a stare meglio; o se ci siamo feriti, con un disinfettante evitiamo le infezioni: questi aspetti non fanno di noi dei medici.

Con questo intendo dirti che devi cercare di stare attento a ciò che leggi o alle cose che ascolti, perché potrebbero es-sere grossolane, approssimative, o magari interessate a riprodurre certi modelli di comportamento anziché aiutarti ad essere un genitore efficace e consapevole nei confronti di tuo figlio.
Penso, ad esempio, ad alcuni anni fa quando in uno studio medico ho trovato un grande manifesto con un sintetico decalogo di un’associazione di pediatri, che invitava, tra le varie cose, a non fare vedere ai bambini più di due ore di tv al giorno: a che età? Quali programmi? Bambini italiani o bambini stranieri? Da fruire da soli o accompagnati dagli adulti? E le altre tecnologie?…

Questo per dire che l’educazione va affrontata in modo ampio e non superficiale, o approssimativo; altrimenti, il ri-schio è quello di riprodurre degli stereotipi senza senso. Sulla televisione ci sarebbero un’infinità di cose da dire; e anche sull’uso degli smartphone, dei social, ecc. ormai alla portata di bambini anche molto piccoli. Ridurre queste cose a uno slogan può essere addirittura controproducente.
Quello che ti voglio proporre in questa sede è un orientamento al tuo ruolo di genitore, ispirato dalle più evolute scuole di pensiero nel settore, che ti permetta di decidere agevolmente in modo autonomo come gestire gli aspetti più importanti che riguardano la tua esperienza di genitore.

3. Cos’era l’educazione in passato

Detto questo, entriamo nel merito di come considerare l’educazione. Nel farlo, prenderò a riferimento il mio maestro di Pedagogia generale e sociale, il Prof. Franco Blezza, e ti introdurrò ad una visione ampia del mondo in cui attualmente viviamo, di com’era ieri e di com’è oggi.
Il mio scopo è darti delle specifiche linee di riferimento in educazione; infatti, voglio consentirti di interpretare il tuo ruolo di genitore sempre e comunque con la massima consapevolezza possibile verso ciò che stai facendo.

Ti avviso che questa è la parte più difficile da masticare e ho scelto appositamente di proportela perché senza affrontare questi principi, è impossibile offrirti un insieme organico di strumenti educativi, che tu possa maneggiare con cognizione di causa.
Infatti, non è mio proposito dirti: “se succede così…fai questo…altrimenti fai quest’altro…”. Il mio obiettivo è renderti un genitore più efficace nel tuo ruolo; e vedrai che al termine della lettura, quello che avrai appreso ti permetterà di raggiungere questi obiettivi come solo una ristretta parte dei genitori riesce a fare.

Voglio iniziare facendoti riflettere su com’era l’educazione in passato, diciamo qualche decennio fa. Che tu abbia 25, 30, o 45 anni, cambia poco; avrai sicuramente visto o sentito di episodi in cui c’era un padre impegnato con il lavo-ro e spesso assente da casa; libero di andare e venire a suo piacimento senza rendere conto a nessuno; in cui c’era una madre dedita esclusivamente alla casa e ai figli, soffocata in un ruolo che magari non voleva ma che le toccava, in quanto donna; in cui i figli ricevevano un’educazione molto rigida o, per contro, molto sregolata; nella quale spesso si arrivava alle mani per risolvere questioni con i figli, colpevoli di aver commesso qualcosa che probabilmente non ave-vano fatto né capito.

Ho fatto una piccola sintesi di alcuni elementi che ricorrevano spesso in passato all’interno di tante famiglie; e se andiamo ancora più indietro nel passato, questi aspetti erano ancora più rigidi.
Pensa al ruolo che aveva il padre 70-80 anni fa, o la madre, il maestro, il capo ufficio…pensa a come venivano esercitati i ruoli e le responsabilità in quell’epoca. Non voglio annoiarti oltremodo su questo, hai certamente già capito a cosa mi riferisco. Parlo di quella che Blezza chiama «educazione omologativa».
Esistevano dei modelli da assumere per ciascun ruolo; erano molto rigidi, non ammettevano flessibilità e non ammettevano nemmeno la possibilità di errore. Basta chiedere ai propri nonni come reagivano i loro padri quando commettevano un errore nei loro confronti. Verosimilmente, il nonno si metterà a ridere, non capirà nemmeno il senso della domanda. Si trattava di modelli educativi a-priori:

«L’educatore doveva imporre agli educandi queste vere e proprie leggi superiori, e dopo averle imposte a sé stesso; e doveva (nonché poteva) far ricorso a qualunque mezzo, anche coercitivo, anche violento, anche umanamente degradante, perché ciò era sempre e comunque “per il Bene suo” ed ovviamente dell’umanità.”» (F. Blezza, Educazione XXI secolo).

Una volta c’era ben poco da discutere; un padre aveva ragione in quanto padre, il maestro in quanto maestro, e co-sì sempre. Era già tutto stabilito e codificato a priori, non si sapeva da chi o il perché, ma era tutto chiaro. Il padre lavorava, la madre vedeva della casa e dei figli, salvo farli punire dal padre, ecc. Al di là delle considerazioni che si possono fare su quel mondo, quello che ti voglio far notare è che quelle dinamiche sono cambiate completamente.
Questo comporta, tra le varie cose, che al giorno d’oggi fare il genitore è molto più difficile di un tempo.
Non ti spaventare; anzi, sii consapevole del grosso valore umano che questo ha per te e per tuo figlio; all’epoca, importava a pochi che un bambino sviluppasse le sue potenzialità. O che un genitore sviluppasse pienamente le sue, come uomo, donna, in relazione a suo figlio, al suo partner, o più in generale che si realizzasse.

La donna doveva assumere un ruolo preciso, in genere in cucina, e l’uomo un altro, in genere coperto da un para-vento dietro al quale lui poteva/doveva nascondere le sue fragilità. Ti spieghi subito come mai oggi vi sia un’incidenza preoccupante di casi di femminicidio.
Infatti, l’enorme fragilità sviluppata dai maschi nel corso di secoli doveva trovare inevitabilmente un modo di esprimersi, quando il comodo cuscinetto protettivo delle vecchie “regole” è svanito. Ci auguriamo tutti che la società in cui viviamo se ne accorga presto e ne tragga le dovute conclusioni.
Ora proseguiamo, e vediamo di fare qualche considerazione più approfondita su come potremmo intendere l’educazione oggi. Prima di farlo, vorrei che ti interrogassi su quando inizia l’educazione.

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4. Quando inizia l’educazione

Quando è iniziata l’educazione di vostro figlio?” è la domanda con la quale talvolta comincio gli incontri rivolti a gruppi di genitori o aspiranti tali, subito dopo aver rotto il ghiaccio chiedendo sommariamente le esperienze di ciascuno: se abbiano figli, di quali età, ecc.
È una domanda che generalmente spiazza un pochino la platea, crea un momento di pausa riflessiva e dubbio, ma che mi permette di dare alle persone in modo immediato un diverso modo di concepire il proprio ruolo genitoriale; da quel momento possiamo sintonizzarci pian piano sulla stessa lunghezza d’onda.

La prima risposta che ricevo abitualmente è che inizia con la nascita del bambino. Altri, invece, rispondono che l’inizio vero e proprio avviene quando il bambino è un po’ più grande; c’è chi risponde sei mesi, chi un anno, chi due, o semplicemente quando raggiunge una qualche tappa (ti riconosce, interagisce con te, cammina, ecc.).
Le persone che mi hanno dato queste risposte appartengono a contesti sociali, culturali e professionali molto diversi: insegnanti, impiegati, professionisti, operai, ecc., con età variabili; perciò un insieme molto ampio di ambienti di provenienza.

La seconda domanda che generalmente pongo è la seguente: “Per quale motivo lo pensate?” Anche in questo caso le risposte sono molto varie. Alcuni dicono che prima della nascita non ha senso di parlare di educazione; altri invece sostengono che finché non c’è un’interazione matura, non esiste propriamente una vera educazione, ma solo la cura del bambino. Certi genitori però, e sono quelli che mi sorprendono di più, dopo questa seconda domanda tornano sui propri passi e rispondono che in effetti forse si potrebbe parlare di educazione anche prima delle prime interazioni, o addirittura prima della nascita, ma dipende da cosa intendiamo per educazione.

Qui io mi illumino e iniziamo a sviluppare un bel discorso insieme, grazie al quale io insegno loro come fare meglio il loro mestiere di genitori e loro insegnano a me a fare meglio il mio mestiere di pedagogista che aiuta i genitori a fare il loro. Tutti insieme ci evolviamo, grazie al contributo reciproco dell’altro; in altre parole ci educhiamo.
Ok, sto correndo un po’ troppo. Facciamo un passo indietro e osserviamo tre aspetti.

Prima osservazione: è proprio vero che serve l’interazione con il bambino per favorirne l’educazione? Solo per gettare sul tavolo delle prime idee, diciamo che, nel senso comune, per educazione intendiamo la partecipazione al percorso di crescita dei figli. Naturalmente, anche i nonni partecipano a questo percorso di crescita, e non poco; un di-scorso analogo lo si potrebbe fare anche per gli zii, gli insegnanti, ma anche per gli allenatori e molte altre figure.
Molte volte non c’è nemmeno bisogno di avere una interazione diretta per avere uno stimolo alla crescita. Prova a pensare a quando il tuo bambino deve iniziare la scuola; diciamo la prima classe, ma il discorso potrebbe valere anche per il primo anno di un qualsiasi grado di istruzione.

Lì, troverà degli insegnanti che si prenderanno cura di lui, che gli insegneranno molte cose e lo aiuteranno a sviluppare strumenti e competenze per affrontare autonomamente compiti sempre più complessi. Però, prima ancora che il tuo bambino metta piede in quella scuola, prima ancora che conosca i suoi nuovi insegnanti, lui si sarà già messo nell’ottica di appartenere ad una nuova comunità, e di perseguire dei nuovi obiettivi: si atteggerà in un modo diverso, aspirerà a dei traguardi diversi, si sentirà diverso. Io, ad esempio, penso alle mie figlie quando da bambine sono passate dal nido alla scuola dell’infanzia e a quelle successive, a come si immedesimavano nel nuovo ambiente.
Con questo intendo dire che non sempre è necessario che qualcuno o qualcosa abbiano un intervento diretto su un bambino per creare effetto educativo nei suoi confronti. Alle volte, come vedi, il semplice fatto di accostarsi con la mente ad un evento, ad una persona o un’esperienza, ci permette già di ripensare profondamente il nostro modo di vi-vere i nostri obiettivi.

Seconda osservazione: è proprio vero che un adulto educa un bambino? O può accadere anche il contrario? E che un adulto educhi un altro adulto? Per il principio che abbiamo espresso sopra, va da sé che anche un adulto possa essere educato; e che magari sia proprio il bambino, eventualmente suo figlio, a educarlo.
Anche qui è questione di prospettive. Se tu provassi a chiedere a tua madre come ha educato suo padre, la risposta consisterebbe in una risata di incredulità. Se tu chiedessi a tuo nonno come ha educato suo padre, probabilmente riceveresti anche qualche rimprovero per il solo fatto di avergli posto una domanda tanto insensata ai suoi occhi.

Eppure, al giorno d’oggi i ruoli sono profondamente cambiati, e così anche i modi nei quali si esprimono i processi educativi. Se ci fai caso, nel nostro linguaggio la parola educazione ha avuto un exploit molto forte in tantissimi ambienti, anche molto distanti dalla relazione genitore – figlio.
Vuoi degli esempi? Corsi ECM di Educazione continua in medicina; educazione ambientale; educazione linguistica; educazione motoria; educazione musicale; PEI Progetto educativo individualizzato; e molti altri. Diciamo che l’educazione è diventata una vera e propria moda; anche se in molti casi chi utilizza questi concetti non ha altro che una piccola e modesta percezione di cosa significhino.

Al di là di cosa vogliano alludere con questi termini e di come intendano concretizzare i propositi educativi, una co-sa è chiara, ovvero ciò che anima chi opera in quei contesti: ampliare la visione che hanno di quella materia in modo più lungimirante della semplice istruzione (sanitaria, musicale, ecc.).
In sostanza, l’obiettivo che si danno non è solo di istruire le persone, ma soprattutto di favorire la loro crescita: così dell’adulto, così del bambino. In sintesi, possiamo affermare che oggi tutti educano tutti, e tutti vengono educati da tutti.

Terza osservazione: è proprio vero che l’educazione inizia con la nascita del bambino? A questo punto, la ri-sposta te la starai già dando da solo: No!
O meglio, potremmo dire di sì se ci riferiamo al modo in cui noi agiamo nei suoi confronti: finché non nasce, o al-meno finché non viene concepito, l’interazione con lui semplicemente non c’è.
Invece, per le ragioni che abbiamo detto prima, diciamo di no, perché ammettiamo che l’educazione è un fenomeno che coinvolge tutti quanti, adulti e bambini, reciprocamente.
Su questi concetti torneremo tra un po’; quello che ora voglio evidenziare è che l’educazione comprende un insieme molto ampio di processi, non c’è una figura che educa e un’altra che viene educata. Così era una volta, oggi è tutto diverso.

Ammesso che la genitorialità sia stata una scelta, quando una persona decide di volere dei figli, ha già iniziato a pensarsi in modo diverso.
Prima di decidere di diventare dei genitori si hanno altri modi di vivere la vita, altri obiettivi da perseguire, un altro modo di parlare tra partner. Poi qualcosa cambia; giorno dopo giorno il bisogno di avere dei bambini si è fatto vivo e si è iniziato a fantasticare su come sarebbe.
Da lì, si è cominciato a progettare la vita in tre o più membri, a immaginare che sarebbe necessario dopo la nascita ridimensionare alcuni aspetti della propria vita, per riportare entro le mura domestiche un po’ di quelle energie spese al di fuori della casa: vuoi lo sport, vuoi gli amici, vuoi l’extra-lavoro.
Naturalmente non sempre è così; in tanti casi non è possibile ridimensionare i propri impegni, altre volte non lo si vuole; altre volte, uno dei partner ridimensiona la propria vita, mentre l’altro no accetta di farlo. Insomma, c’è di tutto e di più, ma comunque una nascita in arrivo cambia profondamente la vita.
Ha senso quindi pensare che l’educazione sia impartita dal genitore e basta? Ha senso pensare che l’educazione inizi con la nascita del bambino? Difficile crederlo.

Ora cerchiamo quindi di riassumere quello che abbiamo detto in un modo che ci permetta di avere un’idea un po’ più chiara di cosa significhi educare al giorno d’oggi.

5. Cos’è l’educazione oggi

L’etimologia della parola educare significa “tirare fuori” e si riferisce ai talenti e alle capacità di una persona, che vengono fatte emergere e svilupparsi.
Uno dei più autorevoli pedagogisti italiani, il Prof. Piero Crispiani, definisce l’educazione come un «aiuto allo sviluppo della personalità». Trovo che sia il modo più semplice ed evocativo di esprimere questa naturale prerogativa umana; infatti, i genitori accompagnano la crescita dei loro figli per aiutarli a tirare fuori le loro attitudini e a diventare degli adulti pronti ad affrontare una vita indipendente.

Inoltre, questa definizione trova impiego ed applicazione in ogni ambito possibile: famigliare, scolastico, professionale, abilitativo o riabilitativo.
Infatti, il principio di aiuto alo sviluppo si applica a tutti i contesti educativi, non solo alla famiglia: funziona a scuola, nei contesti aggregativi, nella formazione professionale e in ogni ambito nel quale serva aiutare la formazione umana a compiersi. Bambini, adulti, anziani, disabili, studenti, genitori, lavoratori, sono tutte persone che necessitano di un aiuto alla propria crescita personale.

A questo punto, possiamo fare il passo successivo, e chiederci come educare: con quali strategie, quali strumenti, quali risorse. Il modo che ti propongo io parte dalla definizione che abbiamo appena visto e si realizza attraverso un approccio educativo di tipo democratico. Si tratta di una visione dell’educazione centrata sul bambino ed è finalizzata a consentirgli il migliore sviluppo possibile, cioè la massima espressione di se stesso e delle proprie attitudini.
Ti potrà sembrare scontato, ma ti assicuro che è molto frequente sia tra i genitori, sia tra insegnanti e altre professioni di aiuto, centrare gli aspetti educativi su di sé anziché su quelli del bambino; il che denota un approccio educativo non democratico.

Se ti educo perché voglio che tu raggiunga un risultato che io ho deciso a priori, partendo dalle mie aspirazioni nei tuoi confronti, allora non ti sto educando, ti sto addestrando a raggiungere degli obiettivi che non sono centrati su di te.
Se parto, invece, da te e da ciò che osservo in te giorno dopo giorno, riflettendo sui tuoi bisogni e su come permetterti di realizzarti, allora il mio approccio educativo è realmente centrato su di te.

6. L’educazione è prima di tutto auto-educazione

La logica conseguenza del fatto che tutti educano tutti è che, in fin dei conti, ognuno educa se stesso. Ora cerchiamo di approfondirlo meglio, però è importante non dimenticare che l’educazione non è sempre un processo intenzionale.
Infatti, molte esperienze educative sono del tutto accidentali; anche quando ti proponi di realizzare un’azione educativa nei confronti di tuo figlio, non puoi essere certo di tutti gli effetti che quella azione avrà su di lui.
Puoi controllarne alcuni, puoi prevedere un contesto con certe caratteristiche e stimoli adeguati; tuttavia, il modo in cui questi verranno vissuti, recepiti e metabolizzati da tuo figlio dipende prevalentemente da lui.

Una volta si pensava al bambino come una tabula rasa, da formare a proprio piacimento. In realtà, non è affatto così, il bambino partecipa attivamente ad ogni singola esperienza che gli si proponga. La interpreta con gli strumenti di cui dispone e ne fa propri gli aspetti che ritiene più interessanti.
Pertanto, l’abilità del genitore consiste nel cogliere le caratteristiche del figlio e fare in modo di stimolare le sue capacità di auto-educazione nel modo più adeguato possibile, per fargli esprimere i suoi talenti.
Se riesci a focalizzarti su questo principio educativo in ogni fase della tua esperienza di genitore, gli effetti che sarai in grado di produrre sui tuoi figli saranno estremamente gratificanti per tutta la tua famiglia.

7. Qual è lo specialista dell’educazione

Concludo con una riflessione sulle figure che hanno titolo e competenza per occuparsi di educazione. Lo faccio perché i processi educativi sono un tema estremamente delicato, che necessità di solide basi formative per poter esprimere delle riflessioni utili a migliorare il rapporto tra genitori e figli.
I professionisti competenti in materia educativa sono due: uno possiede una formazione universitaria di primo livello ed è l’Educatore; l’altro ha una formazione di livello superiore ed è il Pedagogista.
Tutte le altre figure, anche quelle che si occupano in modo specifico di singole discipline tra quelle incluse tra tutte le scienze dell’educazione (psicologia, sociologia, antropologia, ecc.), hanno solo una prospettiva parziale per poter governare con efficacia i processi educativi. Pertanto, ti suggerisco di porre la massima attenzione a non lasciarti condizionare dai suggerimenti che altri professionisti possono dare in ambito educativo.
Lo specialista dell’educazione è il Pedagogista, che è un professionista formato per osservare, analizzare e gestire i processi della formazione umana, ed è il principale riferimento per chi vuole ampliare le proprie competenze educative.

Detto questo, se vuoi approfondire la tua formazione pedagogica per evitare di innervosirti ancora con tuo figlio, puoi scaricare l’ebook che metto a tua disposizione gratuitamente.

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